Allacciati le scarpe – Get it on
“Non ci voglio pensare”
-Se lo dici, potrebbe accadere.-
“Non…”
-Convinciti che potrebbe-
La sensazione di avere una certezza, poco più che la necessità del respiro, si era appena infranta. Non era la mia testa a dirlo, ma qualcun altro.
Tutto intorno era prevalentemente fermo, sordo e assordante nel silenzio, innaturale rispetto a non molto tempo prima. La precedente vita era frenetica, veloce, sintetica, naturalmente umana nel susseguirsi di incontri, persone e ambienti diversi. In quel momento era un tono su tono: quella che si poteva chiamare ciclo del giorno era una notte su una penombra per tornare alla notte.
Il retaggio dei giorni passati era qualcosa per gestire il tempo. Un orologio aiutava con il suo mostrare data e ora, perché almeno il pianeta non era cambiato da quel lato.
“Sarà anche metà pomeriggio ma mi sembra il mattino presto”
Constatare aiuta a far partire il dialogo. Nel nostro caso calò un ulteriore silenzio.
CAFFÈ’-don’t sleep
“Dimmi cosa può succedere.. “
– Ora non lo so. –
” Non ora.. “
– Quando? –
“Tra poco.”
– Ce ne andiamo via di qua.-
Era successo di nuovo, ma cercammo di affrontarlo come la prima volta; e come quella abbiamo fatto la medesima scelta, anche se con parole diverse.
“Ma hai pensato qualche possibilità?”
– No, ho ripensato a cosa pensai la volta scorsa. –
” Ma era stata una buona scelta?”
– Non credo. –
” Ma allora perché l’abbiamo fatto di nuovo?”
– Non ho avuto la volontà di cambiare..-
Ci dirigemmo dalla pineta verso un luogo lugubre rimasuglio di uno stabilimento balneare di massa: come un vigneto rimanevano gli ombrelloni, baobab le palme e lapidi le sdraio.
Raggiunto questa sorta di cimitero delle vacanze estive, terminando il percorso sulle sabbiose terre al limite della palude, o quello che una volta era un bagnasciuga, del lido ci accolse la madre, noi figli, la nebbia densa e scura, quasi solida.
I polmoni iniziarono a dover dividere aria da acqua, per permetterci di continuare a respirare. Ripeto “poter” perché, infatti, quando si espirava, abbiamo vomitato acqua e sangue, quello che ci hanno fatto respirare durante la guerra oppure era il nostro, non è tuttora chiaro.
“Pensi che se non ci vedano, se ne andranno?”
– Potrebbero anche non attendere; tanto nessuno potrebbe attaccarli con questa nebbia. –
“Per fortuna anche per noi.”
– Beh, se potessimo vederli solo noi, sarebbe anche meglio.”
– eh, detto niente.-
Cosa?.. Lascia perdere. “
Intravedemmo una fioca luce blu, quella che usavamo solo noi per comunicare di notte, ma mi stupì che funzionasse anche con quella nebbia di giorno.
“vodka e furetti…”
– …li faccio a brandelli.-
Dopo questo riconoscimento siamo saliti a tentoni sulla chiatta dove c’erano altre persone, che non aspettavano nient’altro di raggiungere la costa opposta piena di speranze. Appena mi sdraiai su un asse mi addormentai per la fatica.
Nel sonno profondo mi ritrovai leggero, sorvolavo la chiatta su cui ero, e, infatti, mi vidi, e mi sentì russare. Quell’imbarcazione era agile nell’acqua, anche se lenta e ingombrante alla vista. La vidi allontanare e non mi potevo avvicinare anzi ero io fermo e immobile. Sentì un’esplosione, la nebbia mi nascose tutto. Sconvolto cercai di svegliarmi.
“Cosa è successo?”
– Niente stai calmo. –
“Il lido è esploso.”
– Come fai a saperlo? –
“Sta piovendo sabbia.”
Sono stato sveglio per tutto il resto del viaggio.
NIENTE DI NUOVO- having a dejavù
“Cosa pensi di fare? – niente di speciale: lo ammazzo” era la formula che ripetevano Sigmund e Gregory mentre si avvicinava il momento dell’arrivo. Ero intorpidito e parzialmente stordito, perché con quello che era successo non volevo e non potevo dormire e i miei pensieri si erano fatti leggeri, come se stessi veramente dormendo.
“La nebbia si è fatta respirabile. – non è che si è fatta aria… – volete?”
Il mio vicino interruppe Sigmund, spiegando così che quella nuova nebbia non era la solita a cui ormai ci eravamo abituati nelle vicinanze dei luoghi di mare, in realtà si rivelò fumo.
Sentimmo in lontananza ancora degli spari, ma ormai non interessavano più noi e non erano la nostra preoccupazione, forse. La lontananza da quell’inferno ci faceva sentire meglio, ma non in pace. Dovevamo aspettarci che all’approdo non ci fossero né parate in nostro onore né hawaiane con corone di fiori. I nostri pensieri si fecero cupi per ricordi e i rapporti che abbiamo avuto.
“cos’è questo tuo fantasticare?
– Niente di originale: è quello che faremo tra non molto.”
Approdammo al bagno dei fauni, così si chiamava dopo che la sezione speciale tolse la legge da quelle parti, concedendo libidine, violenza e tutto ciò che il vecchio mondo reputò immorale più che illegale.
Silenzio e nebbia avevano circondato tanto noi quanto tutto il resto della zona.
“c’è da preoccuparsi?”.
La domanda che assillava tutti e ci faceva capire che nessuno era esente dai conti, in sospeso lasciati molti anni prima.
“Gonzo, cosa fai da queste parti?”
Era una voce felice che ci accoglieva, ma di cui non si vedeva alcuna figura umana di chi l’avesse pronunciata. La nebbia celava ogni cosa, facendoci sembrare come sotto un riflettore.
“hai portato qualche souvenir? – Cosa intendi?”.
Dopo poco sentì quattro spari che mi colpirono e mi sfiorarono, e Sigmund e Gregory non mi risposero ad alcuna domanda dopo gli spari. Non mi ero voltato subito perché pensavo che fossero molto più distanti da me.
“Gonzo! – Chi sei? – Cosa hai ricevuto? Un colpo in testa? – Niente del genere. – Hai portato il nemico.”
Secondo quella voce avevo tradito, qualcosa portando con me qualcuno o qualcos’altro.
“Torna da dove sei venuto!
– No! –
Non hai compiuto la tua missione.
– Di che cosa parli? –
Devi essere stato manipolato”
A questo punto la nebbia divenne meno densa e mi rese possibile vedere il “palco dell’accoglienza”, da cui partiva la voce. Un ragazzo, un vecchio e un militare mi apparvero, tutti e tre vestiti con tuniche sfolgoranti sopra i loro abiti civili e non.
“prendeteli”
A quest’ordine del ragazzo comparvero decine di guardie attraverso la nebbia che immobilizzarono tutti i presenti all’istante, senza alcuna via di fuga.
PIOGGIA darkness, sounds and silence
Stava calando la notte e insieme alle guardie dovevamo accendere le torce per farci strada appena giunti sul litorale di quella terra che ci avrebbe accolti come se non ci fossimo mai stati: la nebbia si illuminava con le nostre torce. Non era poi così diversa da come l’avevamo lasciata.
“Che caspita!
– cosa c’è? –
Di qua ci sono cadaveri recenti.
-è successo allora!!”
La compagnia che dominava sulle coste aveva finalmente preso il potere, almeno era l’idea, ma non eravamo certi che cosa avesse potuto scatenare tanta violenza in una popolazione così pacifica. Gli inermi non furono risparmiati e le case date a fuoco. La devastazione aveva fatto vuoto intorno a sé, grazie anche al mare e alla nebbia.
“ Speravo che non si arrivasse a tanto.
– qui è morta ogni cosa, neanche le preghiere servono a darci fiducia per la nostra missione.”
Alcuni rumori giunsero a noi da lontano. Rumori violenti. Grida di dolore. Urla di bestemmie. Esplosioni. Seguirono poi alcuni minuti di silenzio poi nuovamente rumori.
“Siamo arrivati all’inferno?
– La pena non c’è stata ancora data!”
Cercammo di ritrovare i nostri passi, ma invano: la pioggia che era da poco iniziata non ci aveva permesso di tornare indietro. La disgrazia non viene mai da sola: infatti, le torce si spensero e ormai solo i rumori ci potevano condurre fuori di quel caos.
“Andiamo dalla parte opposta da cui provengono le urla.
– No aspetta!-
Dei tuoni, delle esplosioni, delle urla si era fatta più vicina la loro presenza, ci sentimmo circondati.
“Che cosa fate qui?”
– Cosa volete? –
“Perché? Che cosa è successo in nostra assenza da dover essere considerati criminali?”
Cadde il silenzio più teso più nero che non avevo mai percepito. La pioggia era quasi inesistente, dato che eravamo bagnati fino alle ossa. Buio e nient’altro. Silenzio e buio. Vuoto e silenzio. Solitudine che prendeva ogni cosa. Una sensazione che solo con questi momenti si creano.
”Se ci si muovesse, non farebbe altro che peggiorare la situazione… non esiste neanche una remota possibilità di vedere dove siamo e cosa c’è intorno… è tragico cercare le proprie mani senza pensare che il corpo non esista … ci sono ancora?… non lo so.”
Pensieri di questo genere mi assalivano la mente non so per quanto tempo. Ore? Minuti? Sicuramente non giorni perché il sole avrebbe dovuto pur sorgere. Due folgori, forse spari, davanti a me e non vidi più niente, se non come fantasmi, le luci di quelli. Sentì delle grida dietro di me. Cercavo di capire di chi fosse la voce ma senza successo. Nuovamente buio, silenzio, pioggia piana, vuoto e nient’altro.
IL PRIMO RISVEGLIO stay apart, silence
La nebbia iniziava ad illuminarsi per l’alba. Una nebbia rossa, quasi sangue, quello che avevo immaginato dopo le folgori. Ero rimasto in piedi per tutta quella notte oltre il mare. I cadaveri visti ieri non c’erano e intorno a me non c’era altro che nebbia e sterpi. Per terra trovai lo zaino di qualcuno e dentro un foglio.
“Qua hai abbastanza per un mese e dieci giorni. La cartina che c’è dentro è del posto in cui ti trovi. Tutto quello che è successo ieri dopo che ti sei addormentato è che noi siamo andati via da questo posto con la chiatta. Se tutto c’è andato per il verso giusto non troverai alcun cadavere nostro o di altri in riva al mare. Divertiti se ci riesci.”
Sarcasmo. Ecco cosa ci vuole in questi momenti. Seguì il sentiero tracciato nelle mie vicinanze. La foresta si infittiva sempre più mentre la fissavo, come animata da una stregoneria di qualche racconto di fantasia. La pioggia era ancora insistente su ogni cosa, opprimeva tutto, piegava le foglie, i rami e gli alberi. Io come le rocce mi facevo scorrere dall’acqua, io ne ero percorso, i vestiti si piegavano poi aderivano al corpo. Dopo ore, forse poche, non lo so, l’acqua che mi bagnava era indistinguibile dal mio sudore. Le ferite, che avevo riportato, erano state medicate da altri prima di partire, ma alcune non si erano rimarginate totalmente e nei movimenti avevo dei dolori, anche se sopportabili. Mi davano noia e in alcuni momenti mi costringevano a fermarmi. Pause di sollievo, pause per riflettere, pause per ricordare.
“Chissà se c’è ancora qualcuno da qualche parte su quest’isola… la strada conduce verso il paese. L’unico dell’isola che dà sul porto opposto al nostro approdo… spero che ci siano ancora delle barche.”
Ogni tanto mi rincuoravo pensando a quando avrei trovato finalmente un buon letto, in un posto tranquillo. Davanti al sentiero si presentarono due colline, sentiero che parve separare in due parti l’isola. Giunto nella pianura era ormai sera. Allora mi lasciai prendere dalla stanchezza e caddi sul terreno morbido, ammorbidito dalla pioggia.
“Un momento per trovare la strada… nessuno mi corre dietro”.