Dylan Dog nn. 435-436-437
n.435
Storia: Lanzoni Claudio, Baraldi Barbara
Disegni: Gerasi Sergio
n.436
Storia: Lanzoni Claudio, Recchioni Roberto
Disegni: Pontrelli Giorgio
n.437
Storia: Lanzoni Claudio, Baraldi Barbara
Disegni: Gerasi Sergio
Copertina: Cestaro Gianluca, Cestaro Raul
Editore: Sergio Bonelli Editore
Data di Pubblicazione: novembre 2022-gennaio 2023
Pagine: 98
Formato: brossura b/n
Momento storico per la Bonelli ma soprattutto per i lettori affezionati di Dylan Dog.
Il curatore è Roberto Recchioni, ma in ogni numero viene ribadito, come direbbe il nostro Fabio D’Isanto, l’imprimatur del creatore Tiziano Sclavi.
La sensazione è questa: il caso tutto italiano di un superfumetto abbastanza atipico come quello di Dyd che continua a dibattersi come un salmone su uno scoglio nella speranza di riprendere la corrente. Non è facile tenere una posizione netta, da un lato noi Bokononisti amiamo proporvi delle recensioni emozionali, non siamo giornalisti o addetti ai lavori, ma a questo giro di giostra il “cosa” prevale sul “come”. Non è un reboot perché la logica Dylaniata viene rispettata, i multiversi Dylan ce li presentava già negli anni ottanta. Non è un passaggio di consegne perché i fumetti Bonelliani hanno sempre avuto uno staff di autori che si sono alternati alle sceneggiature e nominalmente il buon Recchioni sta ancora sul pezzo come curatore ed ha sempre avuto un forte rapporto di lavoro con il re Sclavi. Non è un ritorno alle origini perché siamo nel 2023 e l’immenso Sergio Bonelli che supervisionava e filtrava ogni virgola che uscisse dalla casa milanese ci ha lasciati ormai da qualche anno ed è anche giusto e rispettoso andare avanti.
Tiziano Sclavi, per quanto duro da accettare, è solo un uomo che in stato di grazia quasi quarant’anni fa accese la scintilla (divina) di un sogno esploso nel mercato italiano e mondiale come un incendio incontrollabile che ha acceso passioni straordinarie nel cuore del pubblico attraverso i decenni e le generazioni. Ma tenere insieme la realtà narrativa di un prodotto nato come horror romantico di attualità negli anni ottanta giungendo fino alla realtà storica di questi pazzi, scandalosi, incomprensibili, incredibili, anni venti del duemila è veramente un impresa.
Dato il reset praticamente totale di tutta la run Recchioniana, in rete qualche addetto ai lavori che stimiamo ha sintetizzato in un “me so’ sbagliato” della Bonelli, ma sarebbe ingiusto nei confronti dell’autore avallare questa visione. Il Recchioni non è esattamente un tagliatore di croccanti e per Dylan Dog ha dato il sangue.
Per chi lavora in un mercato di qualsiasi genere mai come adesso la prima regola è che non esistono due clienti uguali. Si, i lettori di fumetti sono clienti, non patate o aeroplani. Ogni scelta comporta un esercito di scontenti. E poi ci sono i social, gli haters, i fan tossici e chi più ne ha più ne metta. Quindi vedremo.
Tornando al ciclo della rinascita: è un proverbiale formattone. Ben fatto, malfatto, il punto è che si tratta di un ritorno a tutto ciò che c’era PRIMA.
Personalmente, a livello narrativo non mi è dispiaciuto, abbiamo trovato anche un cattivo molto sfizioso e un Dylan che ha ricordato il caro vecchio Old Boy di “La bellezza del demonio”. Le morti di personaggi robusti per il tessuto narrativo ci riportano alle emozioni forti del Trono di spade.
Gli omaggi a Matrix e Dark City invece ci hanno lasciati un po’ così. Il citazionismo è sempre un’arma a doppio taglio. Sdoganarlo a chili forse è stato uno dei principali talloni di Achille del nuovo corso. Groucho c’è ma si continua a dimostrare il personaggio più difficile da far parlare. Alla Bonelli serve sicuramente un talento dedicato.
Groucho è Dylan Dog.
Se cade Groucho cade Dylan, e nel Pianeta dei morti di Bilotta questo lo si era capito bene.
Conclusioni: Dylan supererà anche questo terremoto, il suo valore positivo è talmente forte che trascende tipologia di artigianato, scelte editoriali più o meno felici, socialmaniaci, egomaniaci e cultura tossica fandomica del fumetto. I disegnatori ci sono, gli sceneggiatori pure. Quello che manca forse è un po’ di semplicità, la cosa più difficile di tutte.
Ci manca l’anima di Groucho, ci manca un approccio attuale e immerso nella cultura pop ma lontano dall’essere prigioniero di luoghi comuni e della cultura dei franchise, i veri mostri che stanno mordendo le chiappe del povero eterno indagatore dell’Incubo.
Dylan, la pistola!
- Perché leggerlo: alta qualità, ritorno alle origini, qualche brivido.
- Perché non leggerlo: Dylan è uno dei pochi fenomeni di massa del Made in Itay non facilmente classificabili. Teniamocelo stretto e sosteniamo la Bonelli che si sta facendo un mazzo così per attraversare l’era dei mega franchise che stanno ubriacando il pubblico. Se lo segui solo per completismo o sedotto dalla telenovela editoriale lascia perdere, non lo stai leggendo per il motivo giusto, Dylan Dog è come Manzoni, va letto per il suo valore, non perché sei obbligato.